LITURGIA - Chiesa a Villa Borghese Roma

Immacolata
SANTA MARIA
Rettoria
RETTORIA
a Villa Borghese
a VILLA BORGHESE
Roma
Santa Maria
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Santa Maria
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LITURGIA * LITURGIA DELLE "ORE" * I PADRI DELLA CHIESA *calendario SANTI E BEATI

Da selezionare in questa pagina
  1. Anno liturgico
  2. Preghiamo con la Liturgia delle Ore
  3. Commento dei Padri, I Padri della Chiesa
  4. Santi e Beati, calendario Giugno
 
liturgia
L'anno liturgico è la celebrazione della vita di Gesù distribuita nell'arco di un intero anno.
"l'anno liturgico è composto dal ciclo delle stagioni liturgiche, le quali determinano le feste da osservare, le celebrazioni dei Santi, e i passi delle Sacre scritture da leggersi nelle celebrazioni."






tempo ordinario
che inizia il lunedì dopo la domenica di Pentecoste e termina il sabato che precede la prima domenica di Avvento.
Il “tempo ordinario” è un periodo liturgico un pò particolare: quasi“noioso”, ordinario appunto, molto lungo, quasi un riempitivo tra i periodi più forti dell’anno, come Avvento-Natale o Quaresima-Pasqua.
Il tempo ordinario comunque non è un tempo “di riempimento”. E infatti non lo è. Le trentatrè o trentaquattro settimane del tempo ordinario, divise tra i due tempi forti, “post epifania” e “post pentecoste”, non celebrano nulla di particolare, se non la Pasqua di Cristo nella normalità.
Questo tempo spezza l’idea che l’Anno Liturgico sia un semplice itinerario catechistico, ma rende la celebrazione della Pasqua ogni domenica il centro e il fulcro dell’esperienza cristiana, nell’accogliere l’amore di Cristo che si esprime nella comunità cristiana, dalla creazione fino alla fine dei tempi. Il centro, quindi, rimane il mistero pasquale, che si può evincere chiaramente dai prefazi domenicali.

LITURGIA delle "ORE"
prega con la liturgia
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La Liturgia delle Ore nasce dall’esortazione di Gesù a pregare sempre,
La Liturgia delle Ore sancisce un momento di dialogo fra Dio e gli uomini.
La Liturgia delle Ore si compone fondamentalmente della lettura della Parola di Dio e di Salmi diversi a seconda dei giorni e dell’orario.

Tutte queste preghiere comuni, suddivise nell’arco della stessa giornata, furono ordinate e andarono a formare la Liturgia delle Ore o Ufficio divino, una preghiera di lode e supplica della Chiesa con Cristo e a Cristo, arricchita di letture bibliche, cantici e inni.
La riforma di San Benedetto decretò la regola da applicare a questa consuetudine, stabilendo le diverse ore della giornata in cui i monaci dovevano ritrovarsi a pregare insieme, e le modalità.
L’usanza della Liturgia delle Ore si diffuse rapidamente anche al di fuori dei monasteri.
il Concilio Vaticano II ha decretato che, mentre i presbiteri e i vescovi devono praticare la celebrazione della Liturgia delle Ore nella sua forma integrale e i vescovi e i diaconi devono recitare le tre Ore maggiori, anche i fedeli sono tenuti a celebrare ogni giorno almeno le Ore canoniche.

SUDDIVISIONE
Le preghiere sono previste in diverse ore della giornata, articolata nelle ore canoniche.
Le due ore principali sono:
  • le Lodi Mattutine, che si celebrano all’inizio della giornata;
  • i Vespri, che si celebrano alla sera, solitamente all’imbrunire o prima di cena.

Struttura
La prima ora che si recita nella giornata (sia essa l’Ufficio delle Letture o le Lodi Mattutine) è preceduta dalla recita del salmo invitatorio con la sua antifona, che si ripete tra le strofe.
  • il Benedictus o Cantico di Zaccaria nelle Lodi;
  • il Magnificat o Cantico della Beata Vergine Maria nei Vespri.
* Si apre con un versetto (“O Dio, vieni a salvarmi” – “Signore, vieni presto in mio aiuto”, tratto dal salmo 69), a cui segue il Gloria al Padre.
* Poi un inno, tratto dalle composizioni poetiche di origine ecclesiale.
* Si continua con la recita di tre salmi:
Ogni salmo o parte di salmo è introdotto da un’antifona, che ha la funzione di orientare la preghiera al contenuto del salmo; al termine del salmo, salvo ove diversamente indicato, si recita la dossologia Gloria al Padre. L’antifona si recita di nuovo dopo il Gloria al Padre o comunque alla fine dello stesso salmo.
* Segue una lettura biblica con il suo responsorio.
Nelle LODI e nei VESPRI segue  un cantico tratto dal Vangelo:

Le Lodi si concludono con le invocazioni, e i Vespri con le corrispondenti intercessioni, a cui fa seguito il Padre nostro.
Tutte le ore terminano con l’orazione finale.
COMMENTO DEI PADRI DELLA CHIESA
I PADRI DELLA CHIESA
AMBROSIASTER                           CLEMENTE ALESSANDRINO
DIDIMO IL CIECO                        DOROTEO DI GAZA
EVAGRIO PONTICO                      san GREGORIO NAZIANZENO
ORIGINE ADAMANTIO                    SAN BASILIO MAGNO
SAN CIPRIANO DI CARTAGINE           SAN CIRILLO DI ALESSANDRIA
SAN CIRILLO DI GERUSALEMME       SAN CROMAZIO DI AQUILEIA
SAN GIOVANNI CRISOSTOMO           SAN GIROLAMO
SAN GREGORIO DI NISSA               SAN GREGORIO MAGNO
SANT’AGOSTINO DI IPPONA            SANT’AMBROGIO
SANT’ANTONIO ABATE                 SANT’ATANASIO DI ALESSANDRIA  
SANT’EFREM                            SANT’EUSEBIO DI CESAREA
SANT’ILARIO DI POITIERS              TERTULLIANO

SAN GREGORIO MAGNO
Fu uno dei più grandi Padri nella storia della Chiesa, uno dei quattro dottori dell’Occidente: Papa san Gregorio, che fu Vescovo di Roma tra il 590 e il 604, e che meritò dalla tradizione il titolo di Magnus/Grande. Gregorio fu veramente un grande Papa e un grande Dottore della Chiesa!
Nacque a Roma, intorno al 540, da una ricca famiglia patrizia della gens Anicia, che si distingueva non solo per la nobiltà del sangue, ma anche per l’attaccamento alla fede cristiana e per i servizi resi alla Sede Apostolica. Da tale famiglia erano usciti due Papi: Felice III (483-492), trisavolo di Gregorio, e Agapito (535-536). La casa in cui Gregorio crebbe sorgeva sul Clivus Scauri, circondata da solenni edifici che testimoniavano la grandezza della Roma antica e la forza spirituale del cristianesimo. Ad ispirargli alti sentimenti cristiani vi erano poi gli esempi dei genitori Gordiano e Silvia, ambedue venerati come santi, e quelli delle due zie paterne, Emiliana e Tarsilia, vissute nella propria casa quali vergini consacrate in un cammino condiviso di preghiera e di ascesi.

Gregorio entrò presto nella carriera amministrativa, che aveva seguito anche il padre, e nel 572 ne raggiunse il culmine, divenendo prefetto della città. Questa mansione, complicata dalla tristezza dei tempi, gli consentì di applicarsi su vasto raggio ad ogni genere di problemi amministrativi, traendone lumi per i futuri compiti. In particolare, gli rimase un profondo senso dell’ordine e della disciplina: divenuto Papa, suggerirà ai Vescovi di prendere a modello nella gestione degli affari ecclesiastici la diligenza e il rispetto delle leggi propri dei funzionari civili. Questa vita tuttavia non lo doveva soddisfare se, non molto dopo, decise di lasciare ogni carica civile, per ritirarsi nella sua casa ed iniziare la vita di monaco, trasformando la casa di famiglia nel monastero di Sant’Andrea al Celio. Di questo periodo di vita monastica, vita di dialogo permanente con il Signore nell’ascolto della sua parola, gli resterà una perenne nostalgia che sempre di nuovo e sempre di più appare nelle sue omelie: in mezzo agli assilli delle preoccupazioni pastorali, lo ricorderà più volte nei suoi scritti come un tempo felice di raccoglimento in Dio, di dedizione alla preghiera, di serena immersione nello studio. Poté così acquisire quella profonda conoscenza della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa di cui si servì poi nelle sue opere.

Ma il ritiro claustrale di Gregorio non durò a lungo. La preziosa esperienza maturata nell’amministrazione civile in un periodo carico di gravi problemi, i rapporti avuti in questo ufficio con i bizantini, l’universale stima che si era acquistata, indussero Papa Pelagio a nominarlo diacono e ad inviarlo a Costantinopoli quale suo “apocrisario”, oggi si direbbe “Nunzio Apostolico”, per favorire il superamento degli ultimi strascichi della controversia monofisita e soprattutto per ottenere l’appoggio dell’imperatore nello sforzo di contenere la pressione longobarda. La permanenza a Costantinopoli, ove con un gruppo di monaci aveva ripreso la vita monastica, fu importantissima per Gregorio, poiché gli diede modo di acquisire diretta esperienza del mondo bizantino, come pure di accostare il problema dei Longobardi, che avrebbe poi messo a dura prova la sua abilità e la sua energia negli anni del Pontificato. Dopo alcuni anni fu richiamato a Roma dal Papa, che lo nominò suo segretario. Erano anni difficili: le continue piogge, lo straripare dei fiumi, la carestia affliggevano molte zone d’Italia e la stessa Roma. Alla fine scoppiò anche la peste, che fece numerose vittime, tra le quali anche il Papa Pelagio II. Il clero, il popolo e il senato furono unanimi nello scegliere quale suo successore sulla Sede di Pietro proprio lui, Gregorio. Egli cercò di resistere, tentando anche la fuga, ma non ci fu nulla da fare: alla fine dovette cedere. Era l’anno 590.

Riconoscendo in quanto era avvenuto la volontà di Dio, il nuovo Pontefice si mise subito con lena al lavoro. Fin dall’inizio rivelò una visione singolarmente lucida della realtà con cui doveva misurarsi, una straordinaria capacità di lavoro nell’affrontare gli affari tanto ecclesiastici quanto civili, un costante equilibrio nelle decisioni, anche coraggiose, che l’ufficio gli imponeva. Si conserva del suo governo un’ampia documentazione grazie al Registro delle sue lettere (oltre 800), nelle quali si riflette il quotidiano confronto con i complessi interrogativi che affluivano sul suo tavolo. Erano questioni che gli venivano dai Vescovi, dagli Abati, dai clerici, e anche dalle autorità civili di ogni ordine e grado. Tra i problemi che affliggevano in quel tempo l’Italia e Roma ve n’era uno di particolare rilievo in ambito sia civile che ecclesiale: la questione longobarda. Ad essa il Papa dedicò ogni energia possibile in vista di una soluzione veramente pacificatrice. A differenza dell’Imperatore bizantino che partiva dal presupposto che i Longobardi fossero soltanto individui rozzi e predatori da sconfiggere o da sterminare, san Gregorio vedeva questa gente con gli occhi del buon pastore, preoccupato di annunciare loro la parola di salvezza, stabilendo con essi rapporti di fraternità in vista di una futura pace fondata sul rispetto reciproco e sulla serena convivenza tra italiani, imperiali e longobardi. Si preoccupò della conversione dei giovani popoli e del nuovo assetto civile dell’Europa: i Visigoti della Spagna, i Franchi, i Sassoni, gli immigrati in Britannia ed i Longobardi, furono i destinatari privilegiati della sua missione evangelizzatrice. Abbiamo celebrato ieri la memoria liturgica di sant’Agostino di Canterbury, il capo di un gruppo di monaci incaricati da Gregorio di andare in Britannia per evangelizzare l’Inghilterra.

Per ottenere una pace effettiva a Roma e in Italia, il Papa si impegnò a fondo - era un vero pacificatore - , intraprendendo una serrata trattativa col re longobardo Agilulfo. Tale negoziazione portò ad un periodo di tregua che durò per circa tre anni (598 - 601), dopo i quali fu possibile stipulare nel 603 un più stabile armistizio. Questo risultato positivo fu ottenuto anche grazie ai paralleli contatti che, nel frattempo, il Papa intratteneva con la regina Teodolinda, che era una principessa bavarese e, a differenza dei capi degli altri popoli germanici, era cattolica, profondamente cattolica. Si conserva una serie di lettere del Papa Gregorio a questa regina, nelle quali egli dimostra la sua stima e la sua amicizia per lei. Teodolinda riuscì man mano a guidare il re al cattolicesimo, preparando così la via alla pace. Il Papa si preoccupò anche di inviarle le reliquie per la basilica di S. Giovanni Battista da lei fatta erigere a Monza, né mancò di farle giungere espressioni di augurio e preziosi doni per la medesima cattedrale di Monza in occasione della nascita e del battesimo del figlio Adaloaldo. La vicenda di questa regina costituisce una bella testimonianza circa l’importanza delle donne nella storia della Chiesa. In fondo, gli obiettivi sui quali Gregorio puntò costantemente furono tre: contenere l’espansione dei Longobardi in Italia; sottrarre la regina Teodolinda all’influsso degli scismatici e rafforzarne la fede cattolica; mediare tra Longobardi e Bizantini in vista di un accordo che garantisse la pace nella penisola e in pari tempo consentisse di svolgere un’azione evangelizzatrice tra i Longobardi stessi. Duplice fu quindi il suo costante orientamento nella complessa vicenda: promuovere intese sul piano diplomatico-politico, diffondere l’annuncio della vera fede tra le popolazioni.

Accanto all’azione meramente spirituale e pastorale, Papa Gregorio si rese attivo protagonista anche di una multiforme attività sociale. Con le rendite del cospicuo patrimonio che la Sede romana possedeva in Italia, specialmente in Sicilia, comprò e distribuì grano, soccorse chi era nel bisogno, aiutò sacerdoti, monaci e monache che vivevano nell’indigenza, pagò riscatti di cittadini caduti prigionieri dei Longobardi, comperò armistizi e tregue. Inoltre svolse sia a Roma che in altre parti d’Italia un’attenta opera di riordino amministrativo, impartendo precise istruzioni affinché i beni della Chiesa, utili alla sua sussistenza e alla sua opera evangelizzatrice nel mondo, fossero gestiti con assoluta rettitudine e secondo le regole della giustizia e della misericordia. Esigeva che i coloni fossero protetti dalle prevaricazioni dei concessionari delle terre di proprietà della Chiesa e, in caso di frode, fossero prontamente risarciti, affinché non fosse inquinato con profitti disonesti il volto della Sposa di Cristo.

Questa intensa attività Gregorio la svolse nonostante la malferma salute, che lo costringeva spesso a restare a letto per lunghi giorni. I digiuni praticati durante gli anni della vita monastica gli avevano procurato seri disturbi all'apparato digerente. Inoltre, la sua voce era molto debole così che spesso era costretto ad affidare al diacono la lettura delle sue omelie, affinché i fedeli presenti nelle basiliche romane potessero sentirlo. Faceva comunque il possibile per celebrare nei giorni di festa Missarum sollemnia, cioè la Messa solenne, e allora incontrava personalmente il popolo di Dio, che gli era molto affezionato, perché vedeva in lui il riferimento autorevole a cui attingere sicurezza: non a caso gli venne ben presto attribuito il titolo di consul Dei. Nonostante le condizioni difficilissime in cui si trovò ad operare, riuscì a conquistarsi, grazie alla santità della vita e alla ricca umanità, la fiducia dei fedeli, conseguendo per il suo tempo e per il futuro risultati veramente grandiosi. Era un uomo immerso in Dio: il desiderio di Dio era sempre vivo nel fondo della sua anima e proprio per questo egli era sempre molto vicino al prossimo, ai bisogni della gente del suo tempo. In un tempo disastroso, anzi disperato, seppe creare pace e dare speranza. Quest’uomo di Dio ci mostra dove sono le vere sorgenti della pace, da dove viene la vera speranza e diventa così una guida anche per noi oggi.

Nonostante i molteplici impegni connessi con la sua funzione di Vescovo di Roma, egli ci ha lasciato numerose opere, alle quali la Chiesa nei secoli successivi ha attinto a piene mani. Oltre al cospicuo epistolario – il Registro a cui accennavo nella scorsa catechesi contiene oltre 800 lettere – egli ci ha lasciato innanzitutto scritti di carattere esegetico, tra cui si distinguono il Commento morale a Giobbe - noto sotto il titolo latino di Moralia in Iob -, le Omelie su Ezechiele, le Omelie sui Vangeli. Vi è poi un’importante opera di carattere agiografico, i Dialoghi, scritta da Gregorio per l’edificazione della regina longobarda Teodolinda. L’opera principale e più nota è senza dubbio la Regola pastorale, che il Papa redasse all'inizio del pontificato con finalità chiaramente programmatiche.

Volendo passare in veloce rassegna queste opere, dobbiamo anzitutto notare che, nei suoi scritti, Gregorio non si mostra mai preoccupato di delineare una “sua” dottrina, una sua originalità. Piuttosto, egli intende farsi eco dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, vuole semplicemente essere la bocca di Cristo e della sua Chiesa sul cammino che si deve percorrere per giungere a Dio. Esemplari sono a questo proposito i suoi commenti esegetici. Egli fu un appassionato lettore della Bibbia, a cui si accostò con intendimenti non semplicemente speculativi: dalla Sacra Scrittura, egli pensava, il cristiano deve trarre non tanto conoscenze teoriche, quanto piuttosto il nutrimento quotidiano per la sua anima, per la sua vita di uomo in questo mondo. Nelle Omelie su Ezechiele, ad esempio, egli insiste fortemente su questa funzione del testo sacro: avvicinare la Scrittura semplicemente per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza significa cedere alla tentazione dell’orgoglio ed esporsi così al rischio di scivolare nell'eresia. L’umiltà intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali partendo dal Libro sacro. L’umiltà, ovviamente, non esclude lo studio serio; ma per far sì che questo risulti spiritualmente proficuo, consentendo di entrare realmente nella profondità del testo, l’umiltà resta indispensabile. Solo con questo atteggiamento interiore si ascolta realmente e si percepisce finalmente la voce di Dio. D’altra parte, quando si tratta di Parola di Dio, comprendere non è nulla, se la comprensione non conduce all'azione. In queste omelie su Ezechiele si trova anche quella bella espressione secondo cui “il predicatore deve intingere la sua penna nel sangue del suo cuore; potrà così arrivare anche all'orecchio del prossimo”. Leggendo queste sue omelie si vede che realmente Gregorio ha scritto con il sangue del suo cuore e perciò ancora oggi parla a noi.

Questo discorso Gregorio sviluppa anche nel Commento morale a Giobbe. Seguendo la tradizione patristica, egli esamina il testo sacro nelle tre dimensioni del suo senso: la dimensione letterale, la dimensione allegorica e quella morale, che sono dimensioni dell’unico senso della Sacra Scrittura. Gregorio tuttavia attribuisce una netta prevalenza al senso morale. In questa prospettiva, egli propone il suo pensiero attraverso alcuni binomi significativi - sapere-fare, parlare-vivere, conoscere-agire -, nei quali evoca i due aspetti della vita umana che dovrebbero essere complementari, ma che spesso finiscono per essere antitetici. L’ideale morale, egli commenta, consiste sempre nel realizzare un’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno, preghiera e dedizione ai doveri del proprio stato: è questa la strada per realizzare quella sintesi grazie a cui il divino discende nell'uomo e l’uomo si eleva fino alla immedesimazione con Dio. Il grande Papa traccia così per l’autentico credente un completo progetto di vita; per questo il Commento morale a Giobbe costituirà nel corso del medioevo una specie di Summa della morale cristiana.

Di notevole rilievo e bellezza sono pure le Omelie sui Vangeli. La prima di esse fu tenuta nella basilica di San Pietro durante il tempo di Avvento del 590 e dunque pochi mesi dopo l’elezione al Pontificato; l’ultima fu pronunciata nella basilica di San Lorenzo nella seconda domenica dopo Pentecoste del 593. Il Papa predicava al popolo nelle chiese dove si celebravano le “stazioni” - particolari cerimonie di preghiera nei tempi forti dell’anno liturgico - o le feste dei martiri titolari. Il principio ispiratore, che lega insieme i vari interventi, si sintetizza nella parola “praedicator”: non solo il ministro di Dio, ma anche ogni cristiano, ha il compito di farsi “predicatore” di quanto ha sperimentato nel proprio intimo, sull'esempio di Cristo che s’è fatto uomo per portare a tutti l’annuncio della salvezza. L’orizzonte di questo impegno è quello escatologico: l’attesa del compimento in Cristo di tutte le cose è un pensiero costante del grande Pontefice e finisce per diventare motivo ispiratore di ogni suo pensiero e di ogni sua attività. Da qui scaturiscono i suoi incessanti richiami alla vigilanza e all'impegno nelle buone opere.

Il testo forse più organico di Gregorio Magno è la Regola pastorale, scritta nei primi anni di Pontificato. In essa Gregorio si propone di tratteggiare la figura del Vescovo ideale, maestro e guida del suo gregge. A tal fine egli illustra la gravità dell’ufficio di pastore della Chiesa e i doveri che esso comporta: pertanto, quelli che a tale compito non sono stati chiamati non lo ricerchino con superficialità, quelli invece che l’avessero assunto senza la debita riflessione sentano nascere nell’animo una doverosa trepidazione. Riprendendo un tema prediletto, egli afferma che il Vescovo è innanzitutto il “predicatore” per eccellenza; come tale egli deve essere innanzitutto di esempio agli altri, così che il suo comportamento possa costituire un punto di riferimento per tutti. Un’efficace azione pastorale richiede poi che egli conosca i destinatari e adatti i suoi interventi alla situazione di ognuno: Gregorio si sofferma ad illustrare le varie categorie di fedeli con acute e puntuali annotazioni, che possono giustificare la valutazione di chi ha visto in quest’opera anche un trattato di psicologia. Da qui si capisce che egli conosceva realmente il suo gregge e parlava di tutto con la gente del suo tempo e della sua città.

Il grande Pontefice, tuttavia, insiste sul dovere che il Pastore ha di riconoscere ogni giorno la propria miseria, in modo che l’orgoglio non renda vano, dinanzi agli occhi del Giudice supremo, il bene compiuto. Per questo il capitolo finale della Regola è dedicato all'umiltà: “Quando ci si compiace di aver raggiunto molte virtù è bene riflettere sulle proprie insufficienze ed umiliarsi: invece di considerare il bene compiuto, bisogna considerare quello che si è trascurato di compiere”. Tutte queste preziose indicazioni dimostrano l’altissimo concetto che san Gregorio ha della cura delle anime, da lui definita “ars artium”, l’arte delle arti. La Regola ebbe grande fortuna al punto che, cosa piuttosto rara, fu ben presto tradotta in greco e in anglosassone.

Significativa è pure l’altra opera, i Dialoghi, in cui all’amico e diacono Pietro, convinto che i costumi fossero ormai così corrotti da non consentire il sorgere di santi come nei tempi passati, Gregorio dimostra il contrario: la santità è sempre possibile, anche in tempi difficili. Egli lo prova narrando la vita di persone contemporanee o scomparse da poco, che ben potevano essere qualificate sante, anche se non canonizzate. La narrazione è accompagnata da riflessioni teologiche e mistiche che fanno del libro un testo agiografico singolare, capace di affascinare intere generazioni di lettori. La materia è attinta alle tradizioni vive del popolo ed ha lo scopo di edificare e formare, attirando l’attenzione di chi legge su una serie di questioni quali il senso del miracolo, l’interpretazione della Scrittura, l’immortalità dell’anima, l’esistenza dell’inferno, la rappresentazione dell’aldilà, temi tutti che abbisognavano di opportuni chiarimenti. Il libro II è interamente dedicato alla figura di Benedetto da Norcia ed è l’unica testimonianza antica sulla vita del santo monaco, la cui bellezza spirituale appare nel testo in tutta evidenza.

Nel disegno teologico che Gregorio sviluppa attraverso le sue opere, passato, presente e futuro vengono relativizzati. Ciò che per lui conta più di tutto è l’arco intero della storia salvifica, che continua a dipanarsi tra gli oscuri meandri del tempo. In questa prospettiva è significativo che egli inserisca l’annunzio della conversione degli Angli nel bel mezzo del Commento morale a Giobbe: ai suoi occhi l’evento costituiva un avanzamento del Regno di Dio di cui tratta la Scrittura; poteva quindi a buona ragione essere menzionato nel commento ad un libro sacro. Secondo lui le guide delle comunità cristiane devono impegnarsi a rileggere gli eventi alla luce della Parola di Dio: in questo senso il grande Pontefice sente il dovere di orientare pastori e fedeli nell’itinerario spirituale di una lectio divina illuminata e concreta, collocata nel contesto della propria vita.

Prima di concludere è doveroso spendere una parola sulle relazioni che Papa Gregorio coltivò con i Patriarchi di Antiochia, di Alessandria e della stessa Costantinopoli. Si preoccupò sempre di riconoscerne e rispettarne i diritti, guardandosi da ogni interferenza che ne limitasse la legittima autonomia. Se tuttavia san Gregorio, nel contesto della sua situazione storica, si oppose al titolo di “ecumenico” assunto da parte del Patriarca di Costantinopoli, non lo fece per limitare o negare la sua legittima autorità, ma perché egli era preoccupato dell’unità fraterna della Chiesa universale. Lo fece soprattutto per la sua profonda convinzione che l’umiltà dovrebbe essere la virtù fondamentale di ogni Vescovo, ancora più di un Patriarca. Gregorio era rimasto semplice monaco nel suo cuore e perciò era decisamente contrario ai grandi titoli. Egli voleva essere - è questa la sua espressione - servus servorum Dei. Questa parola da lui coniata non era nella sua bocca una pia formula, ma la vera manifestazione del suo modo di vivere e di agire. Egli era intimamente colpito dall’umiltà di Dio, che in Cristo si è fatto nostro servo, ci ha lavato e ci lava i piedi sporchi. Pertanto egli era convinto che soprattutto un Vescovo dovrebbe imitare questa umiltà di Dio e così seguire Cristo. Il suo desiderio veramente era di vivere da monaco in permanente colloquio con la Parola di Dio, ma per amore di Dio seppe farsi servitore di tutti in un tempo pieno di tribolazioni e di sofferenze; seppe farsi “servo dei servi”. Proprio perché fu questo, egli è grande e mostra anche a noi la misura della vera grandezza.

Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza Generale 4.06.2008)

le OPERE
Scritti esegetici
  • Expositio in Canticum Canticorum – si tratta di un’opera esegetica di commento al Cantico dei Cantici, che si presenta sotto forma di due omelie e che si arresta nel commento al v. 1.8 del libro veterotestamentario.
  • Homiliae in Ezechielem – si tratta di un testo curato e aggiornato da Gregorio intorno all’anno 600 di alcune letture sul Libro di Ezechiele fatte da sei anni prima.
  • Homiliae in Evangelia – si tratta di una raccolta di prediche tenute davanti ai fedeli nelle diverse sedi della Chiesa romana nell’anno liturgico 590/91, alcune fino all’anno 593.
Moralia in Iob – si tratta di un imponente scritto di commento al Libro di Giobbe. All’interno della produzione di Gregorio, rappresentano l’opera di maggior impegno ed estensione. L’opera è composta da 35 libri, nei quali vengono commentati, in ordine dal primo all’ultimo, i 42 capitoli del testo veterotestamentario, con anche l’inserimento di ampie digressioni, osservazioni, ammonimenti morali e interpretazioni spirituali. Lo scritto riscosse immediatamente un’enorme fortuna in tutta Europa, che mantenne inalterata per i secoli successivi.

Altre opere
  • Dialogi – si tratta di un’imponente opera in IV libri incentrata principalmente sui santi italici del passato recente, sui miracoli da loro compiuti e sulla sorte ultraterrena dell’anima. Lo scritto si presenta sotto forma di un lungo dialogo intrattenuto da Gregorio e dal diacono Pietro, che interroga il pontefice circa gli argomenti dell’opera. Di particolare importanza il II libro, interamente dedicato alla figura di s. Benedetto da Norcia e che ebbe per questo una circolazione autonoma. I Dialogi sono fra le opere di Gregorio Magno che riscossero maggior successo nel Medioevo, godendo di grande fortuna sin dalla composizione.
Registrum epistolarum – si tratta della raccolta delle circa 850 epistole pontificali sopravvissute di Gregorio Magno, suddivise in XIV libri e che coprono l’intero arco temporale del suo pontificato (590-604). Le tematiche affrontate sono eterogenee e dimostrano l’impegno profuso da Gregorio in tutti i campi interessati dalla sua attività di pontefice.
  • Regula pastoralis – si tratta di un testo normativo, seppure non privo di riflessioni di carattere meditativo e parenetico, rivolto ai «responsabili della cura pastorale», ossia ai vescovi.

Opere minori
  • Libellus synodicus (o Synodus Romana o Decretum Synodi Romanae a. 595) – come è stato dimostrato da P. Meyvaert[104], si tratta degli Atti del Sinodo romano del 595, trasmessi all’interno del Registrum epistolarum[105] e in molti manoscritti delle Homiliae in Evangelium[106]. L’opera è stata per lungo tempo soggetta a discussioni circa la sua identificazione. Di essa parla infatti unicamente Beda nell'Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum, in cui annovera fra le opere minori di Gregorio anche un libellus synodicus, da lui composto insieme ai vescovi italiani su questioni di primaria importanza per la Chiesa[107]. A causa però della portata limitata delle decisioni prese durante il sinodo e di una variante testuale non indifferente[108], il libellus venne identificato ora con l’epistola sinodica[109], ora con il Liber diurnus[110], ora con la lettera sui Tre Capitoli (attribuita a Pelagio II ma da ascrivere forse a Gregorio)[111]. Meyvaert, tramite un confronto testuale del passo dell'Historia Ecclesiastica con i Chronica Maiora (anch’essi opera di Beda), dimostrò però come con la dicitura libellus synodicus Beda si stesse chiaramente riferendo agli Atti del Sinodo romano, di cui doveva avere a disposizione una copia.
  • Oratio de mortalitate (o Denuntiatio pro septiformi letania) – si tratta di un sermone tenuto durante l’epidemia di peste che colpì Roma nel 590, in cui Gregorio – già acclamato papa, ma non ancora consacrato – invita il popolo alla preghiera e alla penitenza e indìce sette litanie, che dovranno svolgersi contemporaneamente in sette chiese diverse (septiformis letania). Di questo sermone sono tràdite due forme[112]: quella pronunciata nella basilica di s. Giovanni, detta Costantiniana, nel 590, anno della peste, e quella pronunciata nella basilica di s. Sabina nel 602, in occasione della festività della santa. Ciò che differenzia le due forme è la parte finale, in cui Gregorio descrive l’ordine delle litanie che si dovranno tenere. La prima forma, attestata da Gregorio di Tours nell'Historia Francorum e trasmessa con il nome Oratio Gregorii papae ad plebem, si ritrova in Paolo Diacono e nei manoscritti che tramandano le Homiliae in Evangelium[113], in cui è trasmessa con il nome Sermo de mortalitate ad populum. La seconda forma, attestata dal Registrum con il titolo Denuntiatio pro septiformi letania, si ritrova anche nella Vita s. Gregorii di Giovanni Diacono.

https://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Gregorio_I#Opere



CALENDARIO SANTI E BEATI 2024
calendario
beati e santi 2024


I Santi,
uomini e donne credibili che ci indicano la strada

Il primo e più grande dovere per i cristiani riguardo alla propria vocazione è quello di ricordare che la santità non è un lusso per pochi ma un semplice dovere per tutti e se tutti siamo chiamati alla santità vuol dire che questa è possibile, praticabile, raggiungibile.
Il Concilio ricorda a tutti i battezzati che; “nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria”.

La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell'unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti.

Ma a che cosa serve ricordare i santi? I santi prima di tutto sono uomini credibili, sono la risposta più credibile alla mancanza di fede e alla deriva spirituale di questo nostro tempo.
Appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita, sono volti concreti di ogni popolo, lingua e nazione e soprattutto sono personalità molto diverse. Essi ci dicono che è possibile per tutti percorrere questa strada.
Tutti abbiamo conosciuto nella nostra vita dei santi, che magari non saranno mai canonizzati ma che ci hanno confermato che la fede è credibile, che forse un Dio c’è e si prende cura di noi. Questi “santi della porta accanto” come ricorda papa Francesco, insieme a quelli canonizzati che amiamo e veneriamo, sono veri e propri “indicatori di strada”, anche i santi più semplici, cioè le persone buone che abbiamo conosciuto nella nostra vita, che non saranno mai canonizzate.
Benedetto XVI in una celebre catechesi sul significato della santità cristiana ebbe a dire a questo proposito che: “I Santi sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedono la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità”.

Il cristianesimo, più che per i predicatori, è credibile perché ci sono i santi.
La Chiesa stessa cresce da sempre per attrazione e non per proselitismo. Mille bravi annunciatori non possono ottenere ciò che ottiene un Santo da solo. Paolo VI ha più volte sottolineato che: “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”.
Nella storia millenaria della Chiesa sono sempre stati i testimoni che confermano i maestri e non il contrario. Il giorno in cui Madre Teresa di Calcutta morì, centinaia di persone che si definivano atee si recarono da ogni parte del mondo a Calcutta, molti di loro tornando nei loro Paesi, testimoniarono di non essere più troppo sicuri della totale inesistenza di Dio. Questa è la testimonianza che un uomo e una donna quando sono credibili nel vivere la loro appartenenza a Cristo realizzano nel silenzio la sua stessa missione.
La santità è e sarà sempre la risposta più credibile alla mancanza di fede e alla deriva spirituale di cui siamo spesso spettatori impotenti.

https://www.agensir.it/chiesa/2021/11/01/i-santi-uomini-e-donne-credibili-che-ci-indicano-la-strada/
ALCUNE RICORRENZE
SETTEMBRE
2024

3 San Gregorio Magno
Papa e dottore della Chiesa

5  Santa (madre) Teresa di Calcutta

8 NATIVITA' della BEATA VERGINE
MARIA

12  Santissimo Nome di Maria

13 San Giovanni Crisostomo,
vescovo e dottore della Chiesa

14 ESALTAZIONE della SANTA CROCE

15 Beata Vergine Maria Addolorata

17 San Roberto Bellarmino vescovo e dottore della Chiesa
       Santa Ildegarda di Bingen,vergine e dottore della Chiesa

19 San Gennaro   vescovo e martire

21 SAN MATTEO apostolo ed evangelista

23 San Pio da Pietrelcina

26 Santi Cosma e Damiano

27 San Vincenzo de' Paoli, sacerdote

29   SANTI MICHELE
GABRIELE E RAFFAELE
arcangeli

30 San Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa
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